Bocciato l’emendamento salva co.co.co.
Inammissibile. E’ bastata una parola, in una delle tante Commissioni della Camera dei deputati, per cancellare la speranza. Una speranza cresciuta nei giorni scorsi un po’ in sordina: una parlamentare vicentina aveva presentato un emendamento al Milleproroghe che ristabilisse una certa equità in tema di diritti acquisiti dei lavoratori “cococo” e “cocopro”. Sì, quelli là col contratto a termine, spesso giovani e che nessuno conosce, di fatto lavoratori dipendenti, formalmente semplici “prestatori esterni” di “prestazioni”, qualunque cosa voglia dire. Fra questi, anche migliaia di giornalisti italiani. Giovani e meno giovani, con il “cococo” rinnovato di anno in anno per due, tre, cinque, dieci volte. E che, con la legge attuale, in caso di vertenza legale (tradotto: se proprio sono alle strette e devono far causa all’azienda per farsi assumere sul serio) si vedono riconosciuto come periodo di lavoro solo l’ultimo anno. E tutti gli altri? E tutti gli altri anni pazienza. Il testo però è stato respinto già in commissione, alla Camera. Anche se la speranza è l’ultima a morire: la deputata – Daniela Sbrollini del Pd – ha promesso di «non demordere», di ripresentare il testo a febbraio e in ogni occasione si parli di lavoro. Intanto però il primo tentativo è andato a vuoto, e rimane l’amarezza.
I fatti. Primo: il collegato lavoro (legge 183/2010) ha inserito modifiche di rilievo nella legge esistente. Sostanzialmente alla scadenza del “cococo” o “cocopro”, qualora non venga rinnovato, il “prestatore di lavoro” se vuol rivalersi sull’azienda deve farlo entro sessanta giorni. Ma al di là del termine, l’aspetto più amaro per chi queste cose si trova a viverle è che pure facendo causa (e tutti sanno che entrare in un’azienda per decisione di un giudice è l’ “extrema ratio”, l’ultima cosa che si vorrebbe fare) la norma attuale prevede che possa essere riconosciuto come “periodo di lavoro pregresso” solo quello coperto dall’ultimo contratto. E il resto? E se me l’avevano rinnovato per dieci anni? Affari tuoi. Secondo aspetto: il caso riguarda moltissimi giornalisti italiani, “cococo” contrattualizzati per modo di dire (senza tutele) e pagati pure “a cottimo”, a seconda di quanti pezzi gli vengono pubblicati. Tesi, antitesi, sintesi: migliaia di giornalisti italiani, adesso, si trovano nella situazione paradossale di dover accettare i contrattini a termine che gli vengono proposti e riproposti, e guai anche ad alzare un sopracciglio perché (come tutti nel settore sanno) l’azienda editoriale è pronta a metterli alla porta in un nanosecondo. Ma in parallelo non possono più nemmeno aver la speranza di veder riconosciuti gli anni di sacrifici che hanno fatto in un anonimo precariato, in caso andassero davanti al giudice. La situazione è reale, anche se molti degli interessati manco lo sanno, e l’emendamento Sbrollini, quattro righe che integravano la legge, ci metteva una pezza. Ordine dei Giornalisti del Veneto e Fnsi erano pronti a sostenerlo a mezzo stampa. Ora però il testo è stato respinto ancora prima della discussione. L’hanno fatto sapere dalla Camera, è perché il governo «ha deciso che in questo Milleproroghe si discuteranno solo gli emendamenti concernenti i temi toccati dal Milleproroghe. Il tema del lavoro non è fra questi».
Bene, in un Paese “normale” invero sarebbe anche giusto che quando l’organo legislativo legifera su un argomento, legiferi su quello senza che vengano infilate dentro altre cose di tutt’altri settori.
Bene, ma proprio adesso dovevamo metterci a fare i “tedeschi”? Altra domanda, Ordine e Fnsi interverranno ancora, adesso che il testo è stato decretato “inammissibile”? La speranza c’è, è l’ultima a morire. Rincuora che la stessa Sbrollini abbia assicurato di voler insistere, «nel prossimo mese alla Camera si parlerà di lavoro e mi impegno da subito a ripresentare il testo». Speriamo: non si può fare altro.
Anonimo Vicentino
PS: Ah, a proposito, ecco il testo “salva cococo”:
All’articolo 32 della legge 183/2010 (Decadenze e disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo determinato) è apportata la seguente modifica:
Al comma 1, dopo le parole “il ricorso al giudice deve essere depositato a pena di decadenza entro sessanta giorni dal rifiuto o dal mancato accordo.” viene aggiunto il periodo “Nei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, anche nella modalità a progetto, di cui all’articolo 409, numero 3), del codice di procedura civile, la durata del rapporto di lavoro verrà considerata comprendendo anche i periodi coperti da precedenti contratti di collaborazione coordinata e continuativa, anche nella modalità a progetto, con cui il prestatore di lavoro era stato impiegato presso il medesimo datore di lavoro.”