Comunicato di solidarietà a Paola Caruso da Refusi, coordinamento freelance del Veneto

lunedì, novembre 15, 2010
By refusi

Paola Caruso è da tre giorni in sciopero della fame per protestare contro la propria condizione di collaboratrice freelance del Corriere della Sera, senza tutele e soprattutto senza uno straccio di certezza per il suo futuro.
Il Direttivo di Refusi, coordinamento dei giornalisti freelance del Veneto, esprime la massima solidarietà a una collega che ha scelto un modo estremo e coraggioso per dare voce a un malessere che è diffusissimo fra i giornalisti che, come noi, collaborano da anni con quotidiani, periodici, televisioni e siti web, percependo compensi bassissimi per il loro lavoro, senza alcuna tutela per malattia o maternità, senza ferie, senza prospettive concrete di assunzione e senza sapere come arrivare a fine mese.

Refusi, coordinamento nato nel 2009 in Veneto, raccoglie oltre duecento adesioni. Ma sono solo una piccola parte dei precari del giornalismo. I dati dell’Inpgi parlano chiaro: in Veneto nel 2010, su 2393 giornalisti attivi (che versano contributi), solo 753 hanno un contratto da dipendente, mentre 1640, ben oltre il doppio, è con contratti “autonomi”: co.co.co, partite iva, prestazioni “occasionali” di nome e quotidiane di fatto.
Un giornalista dipendente ha un reddito annuo medio di 59445 euro. Un co.co.co. arriva in media a 7489 euro, un libero professionista a 9031 euro (i dati completi si possono scaricare da qui).
Un collaboratore di un quotidiano – lo dicono la nostra esperienza e i dati di un questionario effettuato fra i nostri aderenti – può dirsi fortunato quando per un articolo “di apertura” gli vengono corrisposti 25 euro lordi. In molte testate le tariffe scendono anche sotto i 10 euro ad articolo. Ovviamente spese escluse! Poco importa se per quel pezzo c’ha lavorato un giorno intero, o se ha preso la propria auto per verificare di persona la notizia o passato il pomeriggio al telefono per completare la notizia.

Non conosciamo personalmente Paola, ma ci sentiamo vicini a lei perché viviamo la stessa realtà quotidiana. Non chiediamo la sua assunzione. Non pensiamo che il suo sia un caso individuale, né che la “concessione” a lei di un contratto sarebbe da considerare una vittoria.
Come spiega lei stessa sul suo blog: «Nel mondo della comunicazione sono bruciata. Se nessuno ha mai fatto un gesto come il mio è perché nessuno è disposto a pagare un prezzo troppo alto».
Sappiamo quanto sia difficile far emergere la condizione di sfruttamento che viviamo. I nostri stessi giornali “censurano” le nostre proteste, salvo casi eclatanti. Per ottenere qualche trafiletto sulla stampa locale, qualche mese fa, come Refusi abbiamo dovuto metterci letteralmente in mutande a due passi dal ponte di Rialto, a Venezia.
Proprio perché il gesto di Paola Caruso è coraggioso, non vogliamo sprecare l’occasione per parlare solo di lei. Quella che la collega ha “lanciato” è la condizione di un’intera categoria.

Chi in queste ore parla di “meritocrazia” e si riferisce a Paola Caruso come a una che sogna il posto fisso e non ha capito le “regole del gioco”, finge di non vedere una cosa ormai evidente: le regole sono da tempo truccate. La condizione economica di troppi di noi è al di sotto della soglia minima che permette di fare questo mestiere, così delicato e fondamentale per la crescita democratica di un paese, con dignità.
Non chiediamo il posto fisso, pretendiamo che sia data a chi da anni fa il giornalista freelance la possibilità di vivere decorosamente con il proprio lavoro.
Aumento sostanzioso delle tariffe, tutele per la malattia e la maternità, rimborsi spese, riconoscimento dell’apporto di chi collabora da anni con una testata con un contratto che preveda un fisso mensile per un minimo di articoli e non più il pagamento a cottimo. E qualche garanzia di stabilità: non è accettabile che chi assicura pagine e pagine nei nostri giornali possa essere messo alla porta da un giorno all’altro, magari per un’antipatia o un articolo sgradito a qualcuno.
Questo chiedono i giornalisti precari, su questo deve aprirsi una discussione a tutti i livelli, nelle istituzioni, a partire da quelle preposte, e nella società civile.
In Veneto, insieme al Sindacato, abbiamo aperto un tavolo di lavoro con l’Assessorato regionale al lavoro e all’istruzione, con l’Ordine regionale dei Giornalisti e l’Inpgi. Un primo passo, certo, ma almeno abbiamo intrapreso il cammino per provare a dare un futuro alla categoria.

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