Grillo, Superman e i freelance (fra incudine e martello)

mercoledì, ottobre 24, 2012
By refusi
Tre notizie, piccole e meno piccole, capitano in uno stesso giorno (mercoledì 24 ottobre 2012) e innescano riflessioni sparse intorno al sisma che sta sconvolgendo il mondo del giornalismo e dintorni, nel mezzo di una crisi dell’editoria che sembra un tunnel senza uscita.
La prima: un corsivo sul quotidiano “Pubblico” racconta una scena del programma tv “Quinta colonna”, talk show su Rete Quattro in cui Beppe Grillo dice al cronista Salvatore Gulisano, che lo incalza: «Tu non sei un giornalista. Tu sei un precario pagato poco per fare delle domande che non condividi e per non mandare in onda le mie risposte». Lo stesso Grillo, circa un mese prima, aveva dato ampio spazio sul suo cliccatissimo blog al peraltro ineccepibile lamento del giornalista freelance Nicola Biondo sulle paghe da fame e gli zero diritti riservati ai collaboratori delle grandi e piccole testate italiane.
Il secondo segnale arriva sempre dal blog di Grillo: «Hip, hip, hurrà! Bye, bye giornali, è stato bello, anche grazie a voi, arrivare 61esimi al mondo per la libertà di informazione» scrive il comico-politico. Il sinistro festeggiamento è dovuto alla notizia diffusa dal sindacato dei giornalisti Fnsi che in Italia ci sono 90 giornali a rischio chiusura, anche a causa del taglio dei contributi pubblici alla piccola editoria, con 4 mila lavoratori a rischio di restare a spasso.
Il terzo “lancio” esce dalle beghe dell’Italietta e riguarda invece l’immaginario globale: la notizia è che Superman, anzi il suo alter ego Clark Kent, si licenzia dal quotidiano “Daily Planet” e fonda un blog, «nel tentativo di diffondere le sue idee a un pubblico più giovane e ampio» scrive Luana Giacovelli sul sito de La Stampa. Il valore simbolico dell’operazione la dice lunga su come sia evoluta la percezione del mestiere del giornalista con l’evolversi del web: «Questo è ciò che realmente accade a un ragazzo di 27 anni come Clark, un ragazzo costretto a stare dietro una scrivania a scrivere ciò che gli viene assegnato, caricandosi di preoccupazione che non sono davvero sue – così lo sceneggiatore della serie Dc Comics, Scott Lobdell, spiega a Usa Today la scelta – Molto meglio mettersi in proprio e aprire un blog, dove esprimere liberamente il proprio pensiero».
Grillo e Lobdell interpretano lo “spirito dei tempi”, l’ideologia che respiriamo tutti i giorni e che potremmo riassumere su per giù così: “I giornali sono ferrivecchi, non sanno interpretare la realtà e hanno fatto troppi compromessi con il potere. In ogni caso i giovani non li leggono. Per un giovane cronista l’unica via è la Rete, terra della meritocrazia e della libertà d’opinione, dove il Popolo della Rete può decidere (magari cliccando tante volte: “mi piace”) cosa merita di essere letto e cosa no”.
Ci si potrebbe anche credere, se non fosse che il tardivo e candido entusiasmo verso la rete emerge nella più grave crisi che si ricordi nel settore: redazioni che chiudono ogni mese, giornalisti a spasso, precari fra l’incudine e il martello. Da una parte una scarsissima considerazione sociale. Dall’altra una condizione materiale che ci costringe a tirare la cinghia e ingoiare rospi. C’è poco da essere choosy, per dirla alla Fornero, e d’altra parte è la condizione che vive un’intera generazione, in ogni campo del lavoro. Il problema, però, è che a Grillo piace la crisi dei giornali. E in questo la linea del comico coincide perfettamente con quella del tecnocrate Monti che taglia i contributi alle piccole redazioni.
Ma il sogno salvifico del web meritocratico è, per l’appunto, un sogno, che può trasformarsi in un incubo: l’informazione sul web è in gran parte gratuita, non pagata, e senza una paga, molto banalmente, è difficile fare le verifiche, andare sul posto a raccontare le notizie, fare le telefonate che servono. Lo si fa gratis, sì, per passione o perché si ha un altro lavoro (lo stesso blog di Grillo funziona così, come un super-blog che seleziona interventi scritti gratuitamente da volonterosi cittadini e giornalisti). Uno su mille ce la fa, qualche “Superman”: chi è così mostruosamente bravo o ha gli agganci giusti per diventare una macchina da clic. L’anonimo reporter di provincia, dalla rete, difficilmente può ricavare un reddito.
E torniamo al nodo centrale: quello della soggettività del freelance, che da un lato viene spinto ai margini del mercato del lavoro da una crisi che non fa sconti, e dall’altro si sente insidiato dal populismo della rete, che ne nega lo status sociale di “produttore di informazione verificata e di qualità al servizio dei lettori”. Rete che è abile (si veda il modo in cui Grillo compatisce la misera condizione dei freelance) a strumentalizzarlo per sparare contro la “casta dei giornali” e contro il finanziamento pubblico, che al netto di distorsioni e ruberie andrebbe invece difeso come presidio di democrazia (e di posti di lavoro).
Bisognerebbe saper sgusciare come anguille fra questi due pericoli: senza ridursi alla lamentela e allo sconforto fini a se stessi, ma senza nemmeno accettare senza colpo ferire condizioni di lavoro degradanti. Tenere dritta la schiena, e provare a lottare.
Giulio Todescan (giornalista freelance-precario-cococo)

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